Seduzione, tavole e ricette: Afrodita di Isabel Allende
- Redazione
- 14 gen
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 30 gen
«Dedico queste divagazioni erotiche agli amanti che giocano e, perché no?, anche agli uomini spaventati e alle donne malinconiche.»
Il cibo è desiderio, linguaggio e memoria. In Afrodita, Isabel Allende intreccia sapori e racconti in un’opera che esplora il legame profondo tra nutrimento e piacere.
Pubblicato nel 1997, Afrodita si presenta come un ricettario insolito, un compendio di cibo e sensi, dove ogni piatto diventa un tassello di una riflessione più ampia sull’amore, la sensualità e il vivere appieno.
«Il piacere carnale più intenso, goduto senza fretta in un letto disordinato e clandestino, combinazione perfetta di carezze, risate e giochi della mente, sa di baguette, prosciutto, formaggio francese e vino del Reno.» Fin dalle prime pagine, Allende dichiare come il cuore pulsante del libro sia proprio il cibo, inteso come un tramite per evocare memorie, odori, sapori, ma anche incontri e amori. Le ricette, intrise di storie personali e aneddoti, si trasformano in un invito a esplorare il lato più intimo e vibrante della vita. «Ognuno di questi tesori della cucina fa comparire davanti a me un uomo in particolare, un antico amante che ritorna insistente come un fantasma desiderato a infondere una certa luce malandrina nella mia età matura. Quel pane con prosciutto e formaggio mi restituisce l’odore dei nostri abbracci e quel vino tedesco, il sapore della sua bocca.»
Afrodita, specchio cristallino di una scrittura veloce, convoluta, piena di ricordi e dettagli annidati nelle spirali strette di uno stream of consciusness sottilmente ironico e a tratti un po’ compiaciuto, è denso di immagini che stimolano i sensi, tanto da sembrare un libro fotografico, pur senza immagini. Non ne ha bisogno, dopotutto: dalla dolcezza appiccicosa del miele, amore languido e persistente, alla spezia pungente dello zenzero, metafora di una passione improvvisa e intensa, ogni piatto e ingrediente suggerito non è solo una combinazione di ingredienti, ma un rituale di seduzione che celebra il corpo e l’anima, un’immagine vivida di una sensualità pulsante, esuberante, viva e sorprendentemente condivisibile.
Soprattutto se consideriamo che Allende, da sua ammissione, è consapevole di non provenire da una tradizione gastronomica opulenta, spezzando il mito che chi parla di cucina, deve necessariamente essere un esperto, un cordon bleu. «Chi scrive di cucina in genere è stato pasciuto nell’alveo di una lunga tradizione di raffinatezza culinaria ed è nato e cresciuto in luoghi suggestivi, come la campagna francese o una villa italiana in cui madri e nonne coltivavano un’arte delicata, ma succulenta. [...] È questo, credo, l’ambiente di provenienza di celebri cuochi e gourmet, di assaggiatori di vino, di autori di libri di cucina, insomma degli aristocratici del cibo che orientano i palati di quell’infima percentuale di umanità che può mangiare giornalmente. E temo di non poter esibire credenziali del genere.»
Con ironia e trasparenza, racconta come il suo approccio alla cucina sia nato molto più tardi, quando ha compreso l’intimo legame che unisce cibo e sensualità: «Provengo da una famiglia in cui il disprezzo per i piaceri terreni era una virtù e le abitudini ascetiche erano ritenute buone per la salute. [...] Dovevano comunque passare molti anni prima che la cucina smettesse di essere uno spettacolo diretto da mia madre e iniziasse a interessarmi in prima persona. Ciò avvenne quando mi resi conto che sesso e cibo sono tra le poche cose che uomini e donne condividono. Allora mi avventurai alla scoperta di entrambi. Fu un lungo viaggio attraverso i sensi che incidentalmente mi portò fra l’altro a progettare queste pagine.»
Indimenticabile il capitolo dedicato al pane, nella cucina di un convento di Bruxelles, che prende improvvisamente forma dalla sua memoria. Qui «una suora laica, con spalle da scaricatore di porto e mani delicate da ballerina, preparava il pane in stampi rotondi e rettangolari, li copriva con un telo bianco lavato e rilavato mille volte e li lasciava riposare vicino alla finestra, su un bancone di legno medievale.» L’impasto prende la forma di corpi nudi, misteriosi, risultato della «copula tra il lievito, la farina e l’acqua».
Sotto i suoi occhi, e i nostri, «il contenuto degli stampi prendeva vita e un processo lento e sensuale si produceva sotto quei bianchi tovaglioli che, come lenzuola discrete, coprivano la nudità delle pagnotte.»
Piatti apparentemente semplici si tingono di tinte pulsanti, calde, dense, come la ricetta dell’Omelette dell’Imperatrice, qui liberamente rivista:
Ingredienti per due innamorati:
cinque uova appena deposte
mezza tazza di caviale beluga, possibilmente del Mar Baltico - possibilmente
quattro fettine sottili, ma saporite, di salmone affumicato norvegese
burro fresco di campagna
cipollotti tritati
sale & pepe
due cucchiaini di panna acida
ovviamente (sic) pane tostato
Rompere delicatamente le uova in un recipiente di porcellana fine – per eleganza, per nessun altro motivo (sic) – e sbatterle leggermente con sale e pepe.
Scaldare il burro nella padella sacra di ogni buon cuoco e appena inizia ad assumere un colorino da pelle caraibica, versare le uova.
Quando l’omelette è quasi cotta sotto, staccarla con infinita dolcezza, sussurrandoglielo per convincerla, perché se viene costretta perde la sua incantevole disposizione; mettere nel mezzo i cipollotti e il salmone e piegarla a metà, come se si chiudesse un libro.
Per girarla gli esperti muovono la padella con un avanti e indietro sincopato da buon ballerino e poi, con un brusco colpo del polso, la lanciano in aria e la recuperano rivoltata, così si indora bene da entrambe le parti, ma ogni volta che ci ho provato mi è caduta sulla testa. Queste capriole sono puro esibizionismo; nel fare un’omelette, come nel fare l’amore, conta più l’affetto della tecnica.
Servirla nei due piatti più belli che si posseggono, precedentemente scaldati in forno. Metterci sopra il caviale e di fianco il pane croccante appena tostato e la panna acida.
Dopo una notte d’amore, questa è la colazione indicata per continuare ad amarsi per il resto della giornata.
Il cibo, preparato e condiviso con cura, diventa in Afrodita un atto d’amore e di connessione, un linguaggio universale.
È il filo conduttore che attraversa culture. È una celebrazione della vita, che Isabel Allende ci offre con uno stile crudo e dolce allo stesso tempo, capace di farci assaporare ogni parola come se fosse un banchetto, mordendo la vita coi denti, assaggiandone ogni istante.