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Artisia. Tra tradizione e design, la pasta diventa questione di forma

  • Immagine del redattore: Maria Bellotto
    Maria Bellotto
  • 5 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

«La creatività è usata nel campo del design, considerando il design come modo di progettare, un modo che, pur essendo libero come la fantasia e esatto come l'invenzione, comprende tutti gli aspetti di un problema, non solo l'immagine come la fantasia, non solo la funzione come l'invenzione, ma anche l'aspetto psicologico, quello sociale, economico, umano». Bruno Munari, Fantasia, 1977.


Nel panorama del design italiano contemporaneo, Artisia rappresenta un caso raro, portando la cultura del progetto dentro la cucina, trasformando la pasta in oggetto di ricerca.


Startup del Gruppo Barilla, Artisia (nata come BluRhapsody nel 2017) sfrutta l’innovazione della stampa 3D per creare forme di pasta personalizzabili: il cibo non è più solo nutrimento o tradizione, ma materia di sperimentazione, superficie su cui indagare la relazione tra funzione e forma.

In un Paese come l’Italia, dove la pasta è simbolo identitario e intoccabile, Artisia ne scardina la grammatica e la ripensa attraverso gli strumenti del design parametrico e della stampa 3D.


Per Antonio Gagliardi, Responsabile Design & Technology di Artisia, la pasta è oggetto di studio, ricerca, innovazione. «Noi siamo fuori dal piatto di pasta. Non siamo lì dentro, non siamo un primo piatto. Siamo dovuti ripartire dalla funzione, dal modo in cui la pasta viene fruita». È in questo spazio che nasce Artisia: un laboratorio dove il cibo diventa materia di design e la forma si trasforma in strumento di riflessione.



Tutto è iniziato nel 2013 con una domanda semplice: come creare nuovi formati di pasta in un mondo dove sembrava già esistere tutto? «Il processo industriale è sempre lo stesso: o la pasta esce da una trafila, o viene laminata. Noi volevamo trovare una tecnologia che permettesse di andare oltre, e la stampa 3D ci ha aperto un universo nuovo». Quello che poteva sembrare un esercizio di stile si è trasformato in un’indagine profonda sulla forma, sulla materia e sul gesto.


Grazie al computational design, tutti i formati di Artisia possono avere virtualmente infinite variazioni, cambiando i parametri e su base algoritmica.

Oggi Artisia lavora con più di 35 formati a catalogo, ma la sperimentazione è l’anima del progetto: «ogni formato che si vede ne nasconde almeno venti varianti. Cambiare un parametro nel design computazionale significa cambiare la percezione del morso, la densità, il comportamento in cottura». Il risultato è una collezione di oggetti commestibili che nascono dal linguaggio del design, in cui ogni dettaglio – dalla curvatura di una superficie al ritmo di una trama – determina un’esperienza sensoriale diversa.


La tradizione resta sullo sfondo, come contrasto e memoria. «Il mondo della pasta è un ecosistema fortemente identitario, e in Italia è difficile scostarsene. Ma abbiamo capito che la bellezza di certi formati completamente nuovi veniva percepita benissimo anche da chi non è chef. Spingere un po’ più in là il linguaggio può convincere anche chi non ha una grande cultura gastronomica». Il gesto di arrotolare uno spaghetto, o di mordere una lasagna, diventa il punto di partenza per una riflessione sulla forma come espressione culturale.


Lo Spaghetto 3D, candidato al Compasso d’Oro 2026 nella sezione Food Design, sintetizza questo approccio e racconta la capacità del design di rendere visibile l’invisibile. Istituito nel 1954 da Gio Ponti e promosso dall’ADI – Associazione per il Disegno Industriale –, il Compasso d’Oro è il più autorevole riconoscimento del design italiano.


Ogni anno premia oggetti e progetti che coniugano innovazione, funzione e cultura del progetto, contribuendo a definire la storia del Made in Italy. I pezzi premiati entrano a far parte della Collezione Compasso d’Oro, conservata oggi presso l’ADI Design Museum di Milano, uno degli archivi permanenti di design più significativi al mondo.


E proprio parlando dell’ADI, Gagliardi afferma: «mi piace tantissimo perché cammini in mezzo al design italiano, vedi cose che oggi sono di utilizzo comune o percepite come assolutamente scontate. Della tradizione italiana, spesso non si nota che dietro c'è tutta una progettazione».


Il legame con lo Spaghetto 3D è profondo: «siamo molto legati al formato perché lo abbiamo lanciato più o meno quando abbiamo iniziato a fare la pasta secca e volevamo trovare qualcosa di assolutamente identificativo che potesse influenzare l’italiano innamorato della pasta, ma al tempo stesso fargli brillare gli occhi con qualcosa di completamente nuovo a livello di fruizione e di gesti».


L’idea nasce proprio dalla gestualità di arrotolare gli spaghetti sulla forchetta. «La progettazione dello spaghetto 3D in realtà è partita tutta dal gesto. Provando a tracciare i rebbi della forchetta per arrotolare gli spaghetti, si fa una specie di balletto per cui la forchetta si poggia prima su un rebbo, poi sull’altro, e oscilla. È come un’ellisse con due fuochi che si muovono durante la rotazione. È stata l’ispirazione per fare la sezione dello spaghetto 3D: la traccia che lascia la forchetta mentre arrotola gli spaghetti».



Il progetto diventa sintesi tra estetica, funzione e gestualità quotidiana. «Ci siamo dovuti inventare un modo per fare un formato di pasta che durante la cottura non si rompesse. Abbiamo analizzato tantissime variazioni di spaghetto 3D e abbiamo trovato quella che usiamo adesso come standard, che in realtà è un tagliolino, perché nel mondo gourmet la texture della pasta molto fina aiuta a percepire meglio un sugo molto ricco».


Nell’idea di Gagliardi, la forma è prima di tutto esperienza: «Lo spaghetto 3D non solo traduce il gesto dell’arrotolare in qualcosa di estetico, ma rimane un design funzionale di quello che succede anche dopo. È come se cercassimo di fare delle sculture edibili: arte effimera, che dura pochi secondi e ti deve lasciare la memoria del gesto, della fruizione».


Accanto allo Spaghetto, altre forme raccontano storie di creatività, di reimmaginare il linguaggio della pasta, pensando fuori dagli schemi. «Abbiamo lavorato su gusci di vongole, ricci di mare, superfici ispirate al corallo. Il nostro obiettivo era creare una pasta che potesse contenere, non solo accompagnare. Dei piccoli contenitori di semola, facili da riempire, perfetti per essere presi in mano. È un modo di mangiare la pasta completamente nuovo».


La ricerca di Artisia è metodica e sensoriale allo stesso tempo. «Nel mondo della pasta non ci si focalizza mai sulla texture. Noi abbiamo cercato di ridefinire quella percezione: la superficie, lo spessore, la resistenza al morso. È design nel senso più puro: materia che cambia comportamento». Anche l’atto del mangiare diventa parte del progetto. «La pasta 3D è arte effimera. Dura pochi secondi, poi scompare. Ma non è un atto distruttivo: è un gesto creativo, un modo per trasformare un oggetto perfetto in un’esperienza».


Oggi Artisia è un sistema in evoluzione: dalla produzione di pasta secca alla collaborazione con chef e brand internazionali, fino alla progettazione di macchine proprietarie per la stampa alimentare. «Nel mondo della stampa 3D non esistono macchine come le nostre. La sfida ora è scalare, portare questa tecnologia fuori dall’Italia. Abbiamo imparato in un contesto difficile, ma con basi solide possiamo raccontare questa visione anche altrove».


L’ambizione è quella di far riconoscere la pasta come oggetto di design italiano contemporaneo. Ora che Artisia è entrata nell’Index ADI, è sì pasta, ma anche design industriale. Ogni forma racconta un gesto, una cultura, una visione. È forma che traduce funzione.


Per Artisia, la forma non è mai estetica fine a sé stessa. È una struttura che nasce dal pensiero e restituisce al gesto quotidiano un nuovo significato. Il design torna in cucina, ma non per arredarla: per ridefinirla.


In un Paese come l’Italia, dove la pasta è da sempre simbolo di identità, cultura e stile di vita, Artisia ne ridefinisce i confini trasformandola in un manufatto contemporaneo che unisce tecnologia e sensibilità estetica. Ogni formato diventa un esperimento di design: la pasta si presenta come opera prima ancora che come alimento, rivelando la bellezza inattesa di una tradizione reinventata.

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