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La convivialità della tavola: dal 2019, GU.STA.RE – Oltre Cucina

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 21 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

«Ci piacerebbe che GU.STA.RE continuasse a crescere senza perdere mai la sua identità. Il sogno è quello di restare un punto fermo per chi cerca autenticità, qualità e calore umano».


Ci sono dei ristoranti dove si entra pensando semplicemente scoprire un menu, prendere il solito o, perché no, provare sapori nuovi e accostamenti sconosciuti.


Poi ci sono dei luoghi in cui tutto questo accade, certo, ma che lasciano anche qualcosa in più. Dove l’ospitalità è presenza discreta e le ricette di famiglia si mescolano a sperimentazioni nuove, dove c'è uno scambio di emozioni e sensibilità, e i ricordi dello Chef e della cucina diventano un po' nostri, attraverso i piatti.


GU.STA.RE – Oltre Cucina è proprio questo: un piccolo ristorante di Borgomanero (NO) nato nel 2019, che attraversato tempeste, fermate, ripartenze, ma oggi è una delle tavole davvero autentiche del territorio, guidato dalla Chef Valentina Maioni e, in sala, dal Maître Manuel Ettoumi.



«C’è un’immagine che porto sempre con me: mia nonna che tira la sfoglia sul tagliere di legno e il profumo dell’arrosto che riempie la casa» racconta Maioni. «Quel sapore autentico, il calore della casa e la convivialità della tavola è qualcosa che ancora oggi cerco nella mia cucina». Un ricordo, appunto, che diventa gesto quotidiano, che oggi serve sulle tavole di GU.STA.RE – Oltre Cucina: «Il piatto che porto nel cuore è la pasta fatta in casa: lì ho imparato che ogni dettaglio conta, che la cura si vede e si sente».


Ed ecco allora che il menu propone piatti della tradizione rivisitati in modo fresco e convincente; dal signature amuse-bouche "Il Pomodorino" di panzanella e gelatina di pomodoro, al vitello con maionese alle nocciole I.G.P. e polvere di cappero, fino al tajarin con ragù bianco, la cucina offre una selezione di piatti piemontesi che sorprendono e divertono il palato, senza esagerazioni, sempre con garbo ed eleganza.


A muovere la mano della Chef è infatti una tensione gentile e sensibile verso l’essenza, un equilibrio di sapori decisi, che non stancano: «Cerco sempre l’essenza: togliere il superfluo, ma senza mai sacrificare il gusto. Uso tecniche leggere, ma parto da sapori pieni e profondi. La delicatezza non è mai debolezza, è precisione. E la sostanza non è mai pesantezza, è identità. È una ricerca continua».


Una ricerca che comincia dalla terra e passa per le relazioni, iniziando dai piccoli prodiuttori: «è molto importante per la ricerca delle migliori materie prime» spiega. «C’è uno scambio continuo e cerchiamo di trasmettere quelle relazioni attraverso i nostri piatti».


E poi, ovviamente, c’è la memoria, che diventa emozione condivisa, che regala a chi assaggia il menu un viaggio nei ricordi: «è una delle sfide più belle, far dire al cliente ‘questo piatto mi ricorda…’, anche se non è qualcosa che ha mai mangiato prima, è come una memoria inventata, che però emoziona davvero e crea connessione. Cucinare è il mio modo di esprimermi e di relazionarmi con le persone, è un atto di fiducia reciproca: il cliente si affida a me e io mi prendo cura di lui. Significa ascolto, attenzione, presenza».



Un linguaggio e un approccio intimo e intimista, che inizia in cucina e continua con il servizio, che è parte integrante dell'esperienza, così come la carta dei vini, costruita come una costellazione fatta di incontri e istinto, come racconta Ettoumi. «Quando scelgo le etichette, non seguo solo il nome o la moda. Cerco storie. Piccoli produttori che fanno le cose con amore, bottiglie che mi hanno colpito, magari anche solo per un profumo strano o un’acidità fuori dal coro. Voglio che la carta dei vini incuriosisca e faccia venire voglia di scoprire qualcosa di nuovo».


L'abbinamento con i piatti è dichiaratamente libero, gastronomico, umano. «Per me un abbinamento ‘libero e gastronomico’ vuol dire smettere di pensare al vino come qualcosa da incasellare in regole rigide. Non è detto che a ogni piatto corrisponda un solo vino giusto. Mi piace l’idea che il vino possa accompagnare il cibo in modo spontaneo, seguendo il gusto, l’istinto, anche l’umore del momento».


Il racconto, per GU.STA.RE, non è un esercizio di stile. È un calore misurato che si manifesta in uno spazio raccolto, elegante senza formalità. Un’esperienza che non vuole stupire, ma restare impressa. «Ci piacerebbe che, oltre al ricordo di un buon piatto o di un buon bicchiere, il cliente portasse con sé una sensazione. Quella di essersi sentito accolto, ascoltato, a proprio agio. Qualcosa che vada oltre il gusto: un’emozione, un momento di leggerezza, un’energia positiva. E se anche solo un piatto ha stimolato un ricordo, ha fatto riaffiorare un’emozione o un momento speciale, allora per noi è ancora più bello» spiegano Maioni ed Ettoumi.


«Se dovessimo riassumere questi sei anni in un sapore, sarebbe quello di qualcosa che ha dovuto cuocere a lungo, a fuoco lento. È un sapore pieno, intenso, con punte amare ma anche tanta dolcezza. Un gusto che ci portiamo addosso ogni giorno».


E domani? «Ci piacerebbe che GU.STA.RE continuasse a crescere senza perdere mai la sua identità. Il sogno è quello di restare un punto fermo per chi cerca autenticità, qualità e calore umano».

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