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La famiglia Garin e il convivio delle montagne: il Cadran Solaire a Courmayeur

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 30 set
  • Tempo di lettura: 4 min

«Vorrei evocare il calore di una tavola di legno illuminata da una candela e dal camino acceso, i profumi della montagna e una Valdostana. Perché il Cadran è proprio questo: sentirsi accolti come in famiglia, gustando piatti che rimangono nei ricordi.»


Nel cuore di Courmayeur c’è un ristorante che fa della tradizione un racconto vivo, intrecciando cucina e memoria familiare. Il Cadran Solaire preserva l’eredità della famiglia Garin, custode della cucina valdostana e dell’arte dell’ospitalità alpina.


Entrando, si ha la sensazione di varcare la soglia di una casa che racconta storie: legni e pietra, soffitti a volte, oggetti di famiglia che non arredano soltanto, ma custodiscono ricordi, come racconta Alessandra Garin, alla guida del ristorante insieme alla famiglia, custodendo e reinterpretando l’eredità di ospitalità e di cucina alpina che Leo Garin, considerato un pioniere della cucina valdostana, aveva iniziato a tracciare. «Ogni oggetto, ogni sala racconta qualcosa della nostra famiglia e della nostra storia. Non sono semplici dettagli d’arredo: sono memorie tangibili, che fanno percepire all’ospite di essere entrato in un luogo vivo, radicato.»


Un luogo vivo grazie anche alla lunga tradizione della cucina del Cadran Solaire, che nasce da un radicamento profondo col territorio e con le ricette di famiglia. «Per noi l’alpino è il punto di partenza, il radicamento. È la memoria delle montagne, dei pascoli, dei boschi e di ciò che la nostra terra sa offrire. L’italiano viene subito dopo perché è apertura: la capacità di guardare oltre, di portare nel piatto un respiro più ampio senza mai dimenticare chi siamo». È una dichiarazione che diventa piatto, perché qui i sapori sono prima di tutto alpini, e solo dopo italiani: «È una gerarchia naturale, che rispetta le radici e dialoga con un orizzonte più vasto».


Fra le ricette simbolo del Cadran, spicca la Salade de Leo, inventata da Leo Garin: patate, mocetta, olio, limone e prezzemolo, un piatto semplice e schietto, come racconta Alessandra Garin: «proprio come Leo Garin, che lo ha inventato. Ingredienti umili che racchiudono un pezzo della nostra storia e che portano a tavola un’emozione che non si esaurisce mai. Leo è un vero pioniere della cucina valdostana. Ha saputo codificare e valorizzare piatti che oggi consideriamo “classici” e che continuano a essere serviti nei ristoranti della Valle».



Essere custodi significa però preservare un patrimonio culturale, oltre che gastronomico. Non si tratta solo di tramandare ricette, ma di portare avanti un modo di essere. E al Cadran si fa con grande rispetto: «Trasmettiamo un modo di fare, un certo atteggiamento. In cucina è attenzione alla materia prima e fedeltà ai gesti semplici. In sala è cura dell’accoglienza, lo stesso calore che ci insegnavano le nostre nonne. È così che il patrimonio diventa vivo, perché passa attraverso le persone».


Una tradizione quindi in costante movimento: non un’idea museale, ma una linea viva che si rinnova, con ricette che diventano contemporanee, ma con radici ben salde, come spiega Garin: «manteniamo l’essenza di quei sapori, ma li alleggeriamo, li rendiamo più adatti al nostro tempo. È come prendere un racconto antico e narrarlo con una lingua attuale: il cuore resta intatto, ma chi ascolta oggi può sentirlo vicino». E ovviamente c’è spazio anche per piccole contaminazioni, dosate con attenzione. «Hanno lo spazio che meritano: quello dell’equilibrio. Non forziamo mai la mano. Quando una contaminazione arricchisce e non snatura, allora diventa parte del nostro racconto. La storia resta identitaria, ma qualche dettaglio contemporaneo è il modo migliore per farla volare».



Inseparabile dalla cucina è sicuramente la cantina, perfetto completamento dei piatti del menu, in un dialogo continuo, che li accompagna, amplificandone i toni o bilanciandone le intensità. Sempre con un occhio di riguardo al territorio: «amiamo privilegiare i vini valdostani, perché parlano la stessa lingua dei nostri piatti, ma non mancano etichette che portano un respiro più ampio».


Ma il Cadran Solaire non è solo cucina: è un intreccio di sapori e saperi di ospitalità. «Ciò che portiamo in tavola è inseparabile da ciò che si vive intorno» racconta Garin. «I sapori raccontano il territorio e la memoria, i saperi sono l’arte dell’accoglienza, il saper fare, il saper leggere un ospite, farlo sentire a casa. È un connubio che non può esistere disgiunto».



L’universo Garin vive infatti in più forme: l’Auberge de La Maison e il Cadran Solaire sono due facce di una stessa filosofia. «L’Auberge è la casa, il rifugio; il Cadran è l’incontro, il convivio in centro paese. Entrambi condividono lo stesso cuore: l’accoglienza familiare, l’attenzione per i dettagli, il desiderio di creare ricordi attraverso il cibo e l’ospitalità».


Alla fine, il Cadran Solaire è un luogo che si porta dentro. Alessandra Garin lo racconta con un’immagine semplice e potente: «Vorrei evocare il calore di una tavola di legno illuminata da una candela e dal camino acceso, i profumi della montagna e una Valdostana, il nostro signature dish, da condividere al centro della tavola. Perché il Cadran è proprio questo: sentirsi accolti come in famiglia, gustando piatti che rimangono nei ricordi».

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