La Bottega Frascatana: un viaggio di sapori e racconti nel cuore di Frascati
- Roberto de Pascale - unpuglieseinterrapontina
- 29 ott
- Tempo di lettura: 6 min
Dal 1988 una cosa non è mai mutata: il cliente è felice solo quando si sente accolto, trova piatti nuovi e materie prime eccellenti
Tornare a Frascati è sempre un richiamo che sa di casa. È una mattina di settembre quando decido di salire da Latina verso i Castelli Romani, attraversando Castel Gandolfo e Marino, fino a raggiungere quella città che ormai mi appartiene un po’: Frascati.
Un acquazzone ha appena bagnato le strade, ma ora il sole filtra tra le nuvole, restituendo al borgo una luce viva, intensa.
Qui, tra vicoli profumati di pane e di cantine, mi aspetta un luogo che desideravo conoscere da mesi: La Bottega Frascatana.
Ad accogliermi c’è Ettore, capelli bianchi e occhi accesi, un uomo che porta sulle spalle anni di esperienza ma nello sguardo conserva la freschezza di chi ha ancora molto da raccontare. «Benvenuto», mi dice stringendomi la mano con energia. Con lui c’è la moglie, Stefania, che sorride discreta, quasi fosse la custode silenziosa di quel mondo fatto di ospitalità e cucina. «Sai, questo progetto nasce da lontano», mi racconta mentre mi accompagna al tavolo. «Ho iniziato nel 1988. Da allora ho visto cambiare il modo di intendere la ristorazione, ma una cosa non è mai mutata: il cliente è felice solo quando si sente accolto, trova piatti nuovi e materie prime eccellenti».Â
Gli chiedo subito cosa significhi per lui proporre un menù che cambia ogni settimana. «Significa sorprendere. Il giovedì, per esempio, è il giorno dello gnocco fatto in casa. Lo gnocco deve essere soffice, non gommoso. E qui non ci si accontenta mai». Mentre lo ascolto rapito, vedo che sta versando nel mio calice un vino chiaro, dorato. «E questo?» gli domando. Ettore sorride compiaciuto: «È il nostro Frascati Casale Marchese – Quarto Marchese».
Porto il bicchiere al naso. Il colore è un giallo paglierino brillante, limpido e vivo. Al primo respiro arrivano sentori di frutta bianca matura, agrumi freschi, una carezza di mandorla e fiori gialli. Chiudo gli occhi e lascio che il profumo mi avvolga, poi assaggio. In bocca è fresco, minerale, con una vena sapida che invita subito al secondo sorso. La persistenza è lunga, elegante, senza note amare: un vino che accompagna senza sovrastare, capace di raccontare la sua terra.
«Sai da dove nasce?» continua Ettore, felice del mio interesse. «Dalle uve più vecchie dell’azienda, trentacinque anni di vita in media. È un blend di malvasia puntinata, bellone, bombino e trebbiano toscano. L’etichetta porta lo stemma araldico del marchese Emilio de Cavalieri, opera del pittore Gonzaga. Il nome Quarto Marchese è un omaggio proprio a lui: quarto della linea dinastica, vissuto tra il Seicento e il Settecento, simbolo di eleganza e di una tradizione che volevano riportare in vita dentro questo calice».
Arriva il primo piatto, un entrée che prende la scena: la bruschetta con stracciata di bufala, rucola, fichi e prosciutto di Parma. La porto alla bocca: il pane croccante cede sotto i denti, la cremosità della stracciata si fonde con la dolcezza del fico, il prosciutto aggiunge sapidità e la rucola una leggera nota amarognola e croccantezza, una consistenza che bilancia la cremosità della stracciata e la dolcezza del fico. Un equilibrio perfetto, un piccolo viaggio tra consistenze e contrasti. «Questo è un inizio che conquista», dico a Ettore. Lui sorride e annuisce: «Abbiamo voluto che la semplicità parlasse da sola».
Ma il piatto che attendevo con maggiore curiosità è la gricia con i fichi. Ettore mi racconta che prima di arrivare alla ricetta definitiva hanno provato più volte: «la chiave era il fico. Dovevamo metterlo fresco, a pezzi, direttamente nel piatto. Se lo passavamo in padella, perdeva la sua freschezza e diventava troppo dolce».
Così le fettuccine, fatte in casa, accolgono il guanciale di Amatrice e il pecorino romano DOP di Cibaria, poco salato ma dalla qualità sorprendente. Al primo morso sento il guanciale che sprigiona la sua sapidità , il pecorino che regala cremosità e una punta di piccantezza, capace di risvegliare il palato senza sovrastarlo, e il fico che spezza con dolcezza, creando un’armonia sorprendente. «Un piatto così è un regalo» penso, e ogni boccone conferma questa sensazione.
Ettore si alza e va in cucina. Dopo qualche minuto torna, con un piatto fumante tra le mani. Lo poggia davanti a me e, prima ancora che io affondi la forchetta, sorride e spiega: «Questo è il nostro involtino alla romana: carne di manzo che racchiude carota, sedano e mortadella, cotto piano piano in un sugo dolce e profumato. È un piatto che abbiamo voluto mantenere fedele alla tradizione, ma con la nostra cura nei dettagli».
Mentre parla, nota il mio calice vuoto. Senza dire nulla prende la bottiglia, me ne versa un altro sorso e io lo ringrazio con un sorriso. Bevo, lasciando che il vino prepari il palato, e mi dedico all’involtino. Al taglio la carne si apre tenera e succosa, il ripieno profuma di verdure e mortadella. Assaggio e mi rivolgo subito a lui: «La carne è morbida, la cottura lenta a bassa temperatura le regala un sapore intenso e profondo. La dolcezza della carota si lega perfettamente con la freschezza del sedano… e poi arriva quella nota sapida e cremosa della mortadella che sorprende». Ettore annuisce soddisfatto: «È proprio quello che volevamo, un equilibrio che racconta la memoria ma con leggerezza». Io aggiungo: «E il sugo avvolge il piatto senza appesantirlo, lo rende rotondo ma elegante». Lui sorride ancora: «Hai colto il punto». Stefania, rimasta in disparte ad ascoltarci, ci guarda divertita e interviene ridendo: «Sembra quasi un duetto tra voi due, io non devo aggiungere nulla».
Non resisto: mi alzo e chiedo di poter conoscere lo chef. Entro in cucina, lo trovo intento al lavoro. Mi stringe la mano ancora sporca di cucina, segnata dall’olio e dal calore dei fornelli, e io mi complimento con lui. «Grazie, davvero» gli dico. Lui sorride e risponde: «Il piacere è mio».
A un certo punto Ettore si avvicina e con tono complice mi dice: «Adesso vieni con me, ti faccio vedere una cosa». Ci alziamo insieme e mi accompagna verso l’ingresso, dove una vetrinetta ricolma di dolci cattura subito lo sguardo. Con orgoglio me li presenta uno ad uno: «Sono tutti fatti da noi, ogni giorno. Scegli quello che ti ispira di più».
Gli occhi si posano su una cheesecake al caramello salato, alta e vellutata, decorata con frutta secca. La scelgo senza esitazione. Torniamo al tavolo e mi viene servita con un ciuffo di panna fresca. Al primo assaggio, la dolcezza piena del formaggio si fonde con la nota sapida e leggermente amaricante del caramello salato, creando un contrasto raffinato e mai eccessivo. La base di biscotto, fragrante ma morbida al morso, aggiunge un sostegno aromatico che accompagna senza coprire. La frutta secca porta croccantezza e un retrogusto tostato che completa l’insieme. È un dessert equilibrato, costruito con cura, in cui ogni elemento trova il suo posto: la chiusura perfetta di un pranzo che resterà nella memoria.
Prima di andar via, Ettore insiste per una foto insieme. Chiama Stefania, la moglie, che arriva sorridendo con il cellulare in mano. «Dai, mettetevi vicini, questa è da incorniciare» dice con tono complice. Ci stringiamo accanto alla giovane chef, che scherza: «Mi raccomando, non fatemi sembrare troppo seria… in cucina rido sempre!». Scoppia una risata generale. Ettore mi poggia una mano sulla spalla: «Questa non è solo una foto, è un ricordo che resta». Stefania scatta più volte, ridendo: «Meglio abbondare, così scegliete la più bella». Lo scatto che rimane non è solo immagine, ma simbolo di un incontro che resterà nel cuore.
Mi alzo dal tavolo con il cuore colmo. Abbraccio Ettore e Stefania con gratitudine: «Grazie per la splendida accoglienza e per l’ottimo cibo. Tornerò presto a trovarvi, potete starne certi». Loro ricambiano con un sorriso sincero, di quelli che restano impressi.
Esco dalla Bottega Frascatana e mi fermo un attimo sulla porta: un ultimo sguardo alla sala, al calore che vi regna, alla passione che l’ha animata.
Scendo la scalinata lentamente, con passo leggero, quasi solenne, mentre il sole accarezza le pietre ancora umide di pioggia. Raggiungo la macchina con la sensazione che questo non sia stato solo un pranzo, ma un incontro di anime, un ricordo che mi accompagnerà .
So che tornerò: certi luoghi non ti lasciano, ti richiamano, come una voce segreta che invita a sederti di nuovo e vivere ancora la loro magia.










