Misticanza: un viaggio nel cuore della terra e dei sapori vegetali
- Roberto de Pascale - unpuglieseinterrapontina

- 17 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Un viaggio nel cuore della cucina vegetale romana: contemporanea e profondamente legata alla terra
A Roma ci sono giornate in cui la città chiede tutto e offre solo rumore. Da tempo sento parlare di Misticanza – Osteria dalla Terra: una cucina di ricerca, contemporanea e profondamente legata alla terra.
L’atmosfera di Misticanza è intima, sincera, senza artifici: tutto parla di equilibrio e misura. Pochi tavoli, piante verdi, luci calde. Mi lascio cullare da quell’attesa lenta, guardo la brigata finire di cenare, ascolto il tintinnio sommesso delle posate e l’atmosfera di famiglia che precede il ritmo della sera.
Quando Marta Maffucci, chef e titolare, si alza per accogliermi, le propongo di scattare una foto davanti al logo del ristorante: linee morbide, colori di terra e foglie, un segno che racconta più che apparire. Sorridiamo sotto una luce calda, lei con il grembiule nero e la giacca bianca da chef, io accanto. È un istante semplice, eppure pieno — come tutto, qui dentro.
Una volta terminata la foto, Maffucci mi accompagna in sala e mi invita a scegliere un tavolo. Mi avvicino alla parete di fondo, dove due grandi quadri dai toni caldi catturano la luce e sembrano raccontare la stessa energia della cucina: pennellate di terra, ocra e bruno che si fondono come ingredienti su una tela.
Quando ci sediamo, Maffucci parla con la calma di chi ha trovato il proprio posto nel mondo. Mi racconta di aver lavorato per anni in ristoranti dove carne e pesce erano protagonisti, ma di aver sempre coltivato un sogno diverso: dare vita a un luogo dove la cucina vegetale potesse essere libera, elegante e autentica.
«Sono vegetariana da più di vent’anni», dice. «Era il momento di costruire qualcosa che mi rappresentasse davvero».
Nel febbraio 2020 apre Misticanza. Poi arriva il Covid: «È stato un tempo sospeso, prezioso. Mi ha permesso di studiare e ripartire con più consapevolezza».
Autodidatta, appassionata e creativa, parla dei piatti come di un linguaggio intimo: «metto nei piatti la forza della terra e la dolcezza delle mie scelte».
Il menù cambia ogni tre mesi, seguendo il ritmo delle stagioni. Solo un ingrediente resta sempre: il seitan, fatto rigorosamente in casa. Descrive il processo lento con cui separa l’amido dal glutine, lavando l’impasto più volte
fino a ottenere una massa elastica. Poi lo cuoce in un brodo aromatico, lasciandolo assorbire profumi e consistenze. Un gesto antico e meditativo, che ripete ogni settimana, rendendolo ogni volta diverso, vivo. Le chiedo, scherzando, quali verdure porterebbe su un’isola deserta. Lei ride: «Broccoli e pomodori».
Qui da Misticanza, tutto nasce dalle loro mani: pane, pasta, dolci. «Qui prepariamo tutto in casa», spiega. «Ogni cosa deve raccontare chi siamo».
Mi parla del rituale con cui inizia ogni pasto: un cestino di pane servito con l’assaggio dell’olio e una piccola amuse-bouche. «L’olio arriva da Canino, in provincia di Viterbo. È una miscela di caninese e leccino, intensa, capace di raccontare la campagna laziale in un solo assaggio».
Anche la carta dei vini ha un ruolo centrale. «Li seleziona Lorenzo, il nostro sommelier», spiega. «Sceglie solo etichette naturali e biologiche, piccole produzioni di cui conosciamo la storia, le mani e la terra». Accanto ai vini, birre artigianali di Jungle Juice e il kombucha di La Verve, entrambi romani.
Le verdure arrivano dall’Azienda Agricola Biologica Mascitelli, sull’altopiano del Fucino; legumi e uova da Secondo Natura, a Frosinone; i formaggi, tutti a caglio vegetale, dalle Fattorie Fiandino in Piemonte.
Pochi minuti dopo, mi servono il cestino di pane: ai cereali, focaccia, focaccine di patate e scrocchiarelle al rosmarino, accompagnate da olio di Canino. Assaggio una focaccina ancora tiepida: il profumo erbaceo riempie l’aria e apre la serata.
Arriva Lorenzo, sorridente, con un calice di Lambrusco di Sorbara “Eclisse” di Paltrinieri. Un rosa cipria brillante, perlage fine, profumo di fragolina e melograno.
Al sorso è fresco, vibrante, perfetto per l’amuse-bouche: cavolfiore in tempura piccante con crema di sesamo bianco. La croccantezza della pastella incontra la morbidezza tostata della crema in un equilibrio sorprendente. Segue un uovo cotto a bassa temperatura con spuma di spinaci e cialda al carbone vegetale. Rompo la crosta nera, scopro il tuorlo e lo raccolgo con il pane ai cereali.
Lorenzo torna con la Malvasia Bianca “Krita” di Masseria L’Astore, vino biologico salentino. Giallo paglierino luminoso, profumi di pesca bianca, miele e zagara.
Il sorso è ampio, equilibrato, con un finale minerale che richiama il mare del Sud.
Arrivano i ravioli ripieni di robiola con crema di pere al burro e riduzione di vino rosso. La pasta è sottile, la robiola delicata, la dolcezza della pera crea un contrasto armonico. Un piatto che unisce comfort e leggerezza, poesia e semplicità. La Malvasia lo accompagna con grazia, amplificando le note dolci e pulendo il palato.
Poi, il cuore della cena: seitan con crema di cavolfiore caramellato, pistacchio e arancia in aria, con spicchi a vivo. Il bianco del cavolfiore si fonde al verde del pistacchio e al giallo dell’arancia. Il profumo è caldo e agrumato.
Taglio il seitan: la consistenza è soda ma tenera, la crema avvolge con dolcezza tostata, il pistacchio aggiunge profondità, l’arancia illumina l’insieme.
Un piatto che parla di terra e luce, di tecnica e intuizione, di una cucina che emoziona senza alzare la voce.
Infine, il dolce. Maffucci lo porta al tavolo: una tartelletta al cacao con crema di
pinoli e gel al rosmarino. «È un dolce che parla di equilibrio», dice. «Il cacao dà profondità, i pinoli dolcezza e il rosmarino una nota fresca, balsamica».
Rompo la frolla sottile: la crema è setosa, discreta, il finale aromatico. Ogni boccone è un viaggio tra bosco e memoria.
Marta mi osserva sorridendo: «È questo che cerco di fare ogni giorno: cucinare emozioni semplici». Sorrido, la guardo e, scherzando, le dico che forse ai vegani manca solo una buona crema. Lei scoppia a ridere e risponde: «Ci stiamo lavorando».
Ci stringiamo la mano. È un gesto breve, ma sincero, che sa di rispetto e di intesa.
Le dico che mi ha fatto scoprire un mondo che non conoscevo, e che tornerò — non solo per la cucina, ma per la sensazione rara di verità e calore che Misticanza lascia addosso.
Esco nella sera romana con la leggerezza di chi ha vissuto qualcosa di autentico. E mentre la porta si chiude alle mie spalle, so che questo luogo resterà con me.














