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Una nuova grammatica del Giappone: il comfort food di Gastronomia Yamamoto

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 19 set
  • Tempo di lettura: 4 min

La vera essenza della Gastronomia Yamamoto è il comfort eating, nel senso più ampio di quella sensazione di poterti sedere da solo senza sentirti fuori posto, di riconoscere un gesto familiare.


All'angolo di via Amedei, a due passi dal Duomo, Gastronomia Yamamoto è una casa giapponese nel cuore di Milano.


Entrando, si viene accolti da una gentilezza che non è di facciata, da una cura che fa sentire parte di qualcosa. «Quello che fa la differenza, secondo me, è che non sei un locale. È un po' come entrare in una famiglia», raccontano Marco Cassani e Luca Pagani, clienti affezionati, che da otto anni vengono qui in pausa pranzo e ormai sono di casa.


Ma la storia della Gastronomia non nasce a Milano e, sorpresa, nemmeno in Giappone. Inizia a Londra, lontano dai fornelli. Come racconta Aya Yamamoto, founder e proprietaria: «tutto è nato quando ho deciso di dare le dimissioni dal mio lavoro a Londra. Non facevo ristorazione, e so che sembra una di quelle storie in cui il protagonista dice va beh, cambio tutto» racconta.



Il primo capitolo viene scritto a penna, sulla carta d'imbarco di un volo per Milano, dove Yamamoto è cresciuta. È un desiderio preciso: creare uno spazio in cui le persone uscissero con qualcosa di nuovo, non solo un sapore. Ma un'esperienza, qualcosa che in qualche modo li ha cambiati, arricchiti.


Tornata a Milano, una ricerca di mercato e una decisione controcorrente: niente sushi. «Abbiamo visto che c'era un segmento del mercato della ristorazione giapponese che mancava. All'epoca, nel post-expo, nessuno offriva ancora una cucina casalinga giapponese, senza tutti i cliché della cultura asiatica».


E in effetti, qui il Giappone è sottrazione: uno spazio minimal, che risulta familiare a chi in Giappone c'è stato, in cui il racconto passa dai piatti, ma anche dalle persone e dal loro lavoro, con la cucina come trait d'union e inossidabile fil rouge. «C'è un aspetto della Gastronomia Yamamoto di cui non parliamo molto, ma è nel nostro DNA» racconta Aya. «Teniamo moltissimo al benessere delle persone che lavorano con noi, siamo sempre felici di dare nuove opportunità di lavoro, tirocini, stage». È una rete che unisce cucina e community, formazione e dignità del lavoro. E c’è la consapevolezza che un ristorante può avere un impatto che va oltre il piatto.


Certo, non è stato un percorso semplice, soprattutto all'inizio. Inizialmente ci hanno detto che la nostra non era vera cucina giapponese; le persone cercavano il sushi. «Ma abbiamo anche avuto un buon riscontro» spiega Yamamoto, «molto probabilmente perché abbiamo sempre curato il servizio e messo le persone e le relazioni al centro di tutto: non era solamente il cibo che faceva girare questo posto».



E se il menu non prevede sushi, la vera essenza della Gastronomia è senza dubbio il comfort food, nel senso più ampio di quella sensazione di poterti sedere da solo senza sentirti fuori posto, di riconoscere un gesto familiare in una città che corre: «questo per noi è il comfort food per eccellenza». E in effetti la Gastronomia non ha un vero signature dish, quanto piuttosto un approccio più culturale: il modo di mangiare. «Invece che un piatto, direi che la nostra signature è più un modo di mangiare: cercare di prendere più piatti possibili e condividere, superare l'idea di primi e secondi. Mettiamo tutto in mezzo e condividiamo», spiega Yamamoto.


Poi, certo, ci sono le preferenze e i gusti personali che con il tempo diventano le abitudini dei clienti abituali: l’insalata di patate, il curry che conforta come una parmigiana della nonna. O i piatti tradizionali come il pollo fritto nanban style, con salsa agrodolce e salsa tartara: «è un piatto che unisce diverse culture, e nato dagli scambi con i commercianti portoghesi» racconta. «È un piatto molto amato in Giappone, che si mangia spesso quando si esce, da soli, con la famiglia o gli amici».


Accanto alla tradizione, c’è però sempre la curiosità. Il menu cambia spesso, le stagioni dettano ritmo e racconti, le mappe si allargano. Da Tokyo al Mare Interno di Seto, fino a Okinawa, la regione tropicale e lontana che qui diventa finestra su un’altra grammatica del Giappone: «studiamo sempre ricette tradizionali di regioni meno note, per far conoscere sapori e piatti diversi dal solito giapponese». Un viaggio in un Giappone che allarga il suo itinerario, uscendo dai soliti percorsi.


Sul futuro, la scelta è di posizionamento, quasi etica. «Quale sarà la prossima direzione della Gastronomia Yamamoto? La stabilità, il passaparola, sapere che le persone vengono da noi perché qualcuno gliene ha parlato bene».


Gastronomia Yamamoto oggi è una casa (e una cucina) discreta, dove Aya, sua madre Shih Chy e il suo team invitano a condividere un tavolo, a scoprire una nuova grammatica della cucina giapponese. Un indirizzo della mappa gastronomica milanese che fa regala con una cosa semplice e preziosa. Un ricordo che sa di casa.

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