Grandi Cuochi all’Opera: chef stellati portano l’alta cucina alla mensa di Opera San Francesco
- Redazione
- 14 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Domenica 5 ottobre, alla mensa di Opera San Francesco, le cucine si sono riempite di grembiuli bianchi e gesti precisi. Non era un servizio qualunque: per un giorno, alcuni tra i più grandi chef italiani hanno cucinato per sostenere chi ogni giorno si rivolge a OSF per un pasto, un aiuto, un ascolto.
L’iniziativa, Grandi Cuochi all’Opera, ha riunito nomi come Philippe Léveillé, Sauro Ricci, Raffaele Minghini e Davide Longoni, unendo mondi che raramente si incontrano, ma quando si incontrano realizzano grandi cose: l’alta cucina e la solidarietà.
Per Léveillé, chef di Miramonti L’Altro, due stelle Michelin, la partecipazione non è un atto eccezionale ma una parte naturale del suo modo di vivere il mestiere. «Da sempre vivo la solidarietà come parte naturale della mia vita. Da giovane sono partito per l’Etiopia, la Somalia e lo Yemen per portare aiuto, e quell’esperienza mi ha segnato profondamente. Per me la solidarietà non è una forzatura, ma un bisogno». Per lui, cucinare qui non è diverso da uno stellato: «Nella mia carriera ho avuto l’onore di cucinare per figure come Papa Ratzinger, il Presidente della Repubblica in Francia e in Italia, ministri e personaggi importanti. Eppure, la tensione e l’attenzione che ho messo in quelle occasioni non erano diverse da quelle che ho portato domenica al pranzo di OSF. Non faccio distinzioni: chi siede a tavola davanti a un mio piatto merita sempre la stessa cura».
Un approccio che racconta una professione fatta di responsabilità prima ancora che di tecnica. «Se dovesse capitare a me di essere in una situazione di fragilità, vorrei che chi cucina per me mi trattasse con la stessa considerazione. Credo che la vera forza della solidarietà sia proprio questa: praticarla senza proclamarla, farla nei gesti concreti più che nelle parole».
Sauro Ricci e Raffaele Minghini, chef del ristorante Joia – Alta Cucina Naturale, una stella Michelin, portano la stessa visione a un piano etico e quotidiano. «La solidarietà rappresenta uno dei valori di fondamento che accomuna l’associazione umana e più nel profondo storico, le varie religioni sviluppatesi in epoche e continenti diversi. Guardando al di là di sé stessi, chi si associa sviluppa necessariamente empatia e solidarietà». Per loro, cucinare per un evento benefico non cambia solo il contesto, ma anche la consapevolezza del gesto: «Quando si cucina per un evento collegato alla solidarietà, dal nostro punto di vista si aumenta la coscienza nel fare e vengono stimolate le virtù del cuoco e dell’artigiano in maniera più alta».
È un modo di guardare al mestiere che rifiuta l’idea di cucina come puro intrattenimento. «Per noi è fondamentale ricordarci quotidianamente che l’alta cucina non può inseguire solo i paradigmi dell’estetica ad ogni costo, del godere e dell’opulenza. Cibarsi senza aver cognizione di cosa, in maniera silente, entra all’interno del nostro corpo è un esercizio fine all’esperienza stessa e potenzialmente nocivo se non pericoloso». Una riflessione che vale tanto per il cuoco quanto per chi si siede a tavola: «Nutrire e prendersi cura è un atto che guarda verso il domani... Questo ci porta a prendere le scelte più giuste e rispettose sia nei confronti dell’ambiente che nei confronti delle persone».
L’idea che il cibo sia anche strumento di cura è centrale per Fra Marcello Longhi, Presidente di Opera San Francesco per i Poveri, che ogni giorno accoglie centinaia di persone nei diversi servizi della fondazione. «La bellezza risiede nel donare e nella capacità di riconoscere l’altro e trattarlo come essere umano con dignità, offrendo un posto accogliente dove poter mangiare, incontrare qualche viso amico e poter scambiare qualche parola. Quando ospitiamo Grandi Cuochi all’Opera ci apriamo a due mondi apparentemente distanti, ma che partono dallo stesso bisogno di cura. Vedere qui riuniti i nostri benefattori è un modo per ringraziarli e per ritrovarci ancora una volta come comunità .Vedere la generosità e la solidarietà delle persone che scelgono di donare è, di per sé, un'esperienza di bellezza profonda».
Fra Marcello parla di una “bellezza profonda” che nasce dal contatto tra professionisti e volontari, tra chi dona tempo, risorse o arte. «La donazione, che sia di tempo, di risorse o in questo caso di arte culinaria, è un atto di gentilezza che riflette il meglio dell'umanità. È il ‘contagio del bene’ di cui parliamo spesso: vedere persone che si prendono cura del prossimo è la bellezza più vera».
Léveillé riassume questi approccio in un ricordo personale: «Durante il periodo del Covid, cucinai un pranzo di Pasqua all’ospedale civile di Brescia. A un certo punto, un’infermiera con il volto segnato dalla mascherina ha visto il mio piatto, lo ha guardato e si è messa a piangere. In quel momento ho capito davvero la potenza del cibo: non solo nutrire il corpo, ma anche il cuore e l’anima».
A OSF, questa energia passa attraverso 1.300 volontari che ogni giorno accolgono chi bussa alla porta, offrendo più di un pasto: «Spesso un sorriso, una parola o un momento di attenzione possono essere più importanti del pasto stesso. Questa accoglienza incondizionata è il primo passo per ricostruire la fiducia e restituire umanità a queste persone», racconta ancora Fra Marcello.
Grandi Cuochi all’Opera diventa così un gesto collettivo che unisce mondi diversi intorno a un’idea semplice: cucinare come modo per prendersi cura.
Cucinare come atto di cura significa rimettere al centro la responsabilità che ogni gesto porta con sé. In un momento storico in cui il cibo viene spesso raccontato come spettacolo o status, tornare alla sua essenza diventa quasi un manifesto: scegliere la semplicità, il tempo, la relazione. Iniziative come Grandi Cuochi all’Opera ricordano che la cucina nasce prima di tutto come servizio, come modo per costruire legami e prendersi cura degli altri.
Nelle cucine di Opera San Francesco, tutti si sono messi al lavoro con la stessa cura che riservano a un ristorante stellato. Chef, pasticceri, panificatori, volontari: mondi diversi che per un giorno hanno condiviso lo stesso spazio e la stessa intenzione — nutrire nel senso più pieno del termine.
È in gesti come questi che la cucina ritrova la sua verità più profonda: un linguaggio che non separa ma unisce, che non appartiene a chi ha di più ma a chi sa donare. Perché cucinare per qualcuno è il modo più concreto che abbiamo per prenderci cura gli uni degli altri.